Ecco cosa è successo la notte del 24 marzo nella prigione di Ketziot nel Negev, lontano dagli occhi del pubblico: 100 prigionieri palestinesi, legati mani e piedi con fascette di plastica, sono stati gettati a terra, picchiati con bastoni e sparati con Tasers. Al mattino, le manette di plastica sono state sostituite con quelle in acciaio, e sono stati incatenati l’uno all’altro a coppie.
Sono rimasti così per un giorno e mezzo, sotto il cielo del freddo deserto, senza acqua, senza cibo, senza servizi igienici. La maggior parte avevano ferite, alcuni sanguinavano. La pioggia che cadeva su di loro si mescolava al sangue che scorreva dalle loro ferite.Sono stati feriti quando forze speciali del Servizio carcerario israeliano, della polizia di frontiera e della polizia regolare – un totale di circa 300 guardie e ufficiali – hanno invaso le loro sezioni della prigione dopo che un prigioniero ha pugnalato e ferito due guardie con un picco improvvisato. Ciò è accaduto mentre i prigionieri venivano spostati da un’ala all’altra della prigione , in risposta alla tensione che ha recentemente attanagliato quel carcere che questa settimana ha portato a uno sciopero della fame da parte dei detenuti associati alla Jihad islamica di Hamas.
La situazione era diventata particolarmente tesa tra le guardie di Ketziot ei prigionieri dopo che ai palestinesi sono stati bloccati i loro cellulari – con il pretesto che la misura era stata adottata per preservare i prigionieri dalle radiazioni del telefono. Tale restrizione,fatta passare per una falsa tutela, ha fatto arrabbiare ancora di più i prigionieri, ancora più isolati dalle proprie famiglie. In seguito sono arrivate le pugnalate e poi i brutali atti di punizione e vendetta da parte dell’IPS e delle forze di polizia contro i detenuti nell’ala A-4. Hanno usato taser e mazze su quasi tutti i prigionieri dell’ala. Ci sono stati dozzine di feriti, otto sono stati portati all’ospedale in elicottero.
I media locali hanno riportato poco o nulla di questi eventi. Questa settimana, tuttavia, è emersa un’opportunità per conoscere quello che è realmente accaduto il mese scorso. Due settimane fa un prigioniero è stato rilasciato da Ketziot. Anche lui fu ferito nella notte delle atrocità ed è stato ricoverato in ospedale. Ora, dopo che è stato dimesso e liberato, ha ancora bisogno di essere medicato.
Mohammed Salaima, sua moglie, Ruseila, ei loro due figli – Yazar di 2 anni e Mayis di 8 mesi, nato mentre suo padre era a Ketziot – vivono in un piccolo appartamento di una stanza nel quartiere di Jabel Kurbaj a Hebron. È un panettiere sorridente e tozzo di 25 anni, incarcerato per due anni dopo essere stato condannato per aver tentato di pugnalare ad Hebron dei poliziotti fuori dalla Tomba dei Patriarchi .
Il 29 marzo, cinque giorni dopo l’esplosione di disordini a Ketziot, Salaima ha terminato la sua pena ed è tornato a casa. Lo abbiamo incontrato lì questa settimana insieme a Musa Abu Hashhash, un ricercatore che lavora per l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem. Per tre ore Salaima ci ha descritto gli eventi della notte del 24 marzo, che ha definito la “notte dei crimini” e la “notte delle atrocità”.
Prima di allora, ha parlato francamente del motivo per cui aveva tentato di pugnalare il Border Policeman. L’idea gli è venuta nel 2014, quando è iniziata l’ondata dei cosiddetti attacchi da lupo solitario. Era particolarmente sconvolto dopo l’uccisione, nel settembre 2015, di Hadeel Hashlamoun di Hebron, che divenne un’eroina locale; la diciottenne, che indossava il velo, aveva destato il sospetto di soldati a un posto di blocco ed è stato colpito a morte. Un’indagine delle Forze di Difesa Israeliane ha stabilito che i soldati avrebbero potuto arrestarla invece di ucciderla.
I social network e le trasmissioni della stazione televisiva Al-Aqsa di Hamas, insieme a una canzone nazionalista scritta in memoria di Hashlamoun, hanno suscitato sentimenti molto forti in lui, ci riferisce Salaima, anche se la ragazza lui non la conosceva così come non ha mai conosciuto nessun altro palestinese ucciso dalle forze Israeliane. Voleva dare a sua figlia il nome Hadeel, ma dalla prigione non ha potuto mettersi in contatto con la sua famiglia. In ogni caso, per mesi ha combattuto con se stesso, rimandando ripetutamente l’attacco con coltelo che stava progettando, senza dirlo a nessuno. Ma una sera nella casa dei genitori ha avuto una discussione con suo fratello che è degenerata in una violenta rissa che è culminata con una ferita provocata da un sasso lanciato da suo. Dopo questo episodio ha deciso di portare avanti il piano che stava rimandando da molti mesi – per dimostrare a suo fratello che anche lui era un vero uomo.
La moglie di Salaima era incinta all’epoca; il loro primogenito aveva 7 mesi – “Ma la decisione era già presa”, dice. La mattina del 5 maggio 2017, il giorno dopo il bisticcio con il fratello, ha afferrato il coltello più lungo in cucina, si è messo un cappotto per nascondere l’arma (nonostante il caldo) ed ha raggiunto la Tomba dei Patriarchi . All’ingresso c’erano solo pochi poliziotti di frontiera e decise di aspettare che arrivassero altri. Pensò che sarebbe stato in grado di pugnalare alcuni ufficiali, uscirne vivo e persino fuggire. Ma suscitò il sospetto di due poliziotti, che si avvicinarono e gli spararono due volte, alla vita e al bacino. Cadde a terra, gridando “Allahu akbar” – Dio è grande – e “Non c’è altro Dio che Allah, e Maometto è il suo profeta”, il verso recitato prima della morte. Era sicuro di morire.
Salaima è stato ricoverato in ospedale per un mese all’Hadassah Medical Center di Gerusalemme, con le braccia e le gambe legate al letto e per un altro mese nella struttura medica dell’IPS a Ramle. È stato condannato a due anni in patteggiamento, in quanto il pubblico ministero ha apparentemente preso in considerazione la sua grave ferita e altre circostanze personali. Le stesse motivazioni che ha raccontato a noi sul perchè a scelto di compiere questo gesto, le ha riferite nei suoi interrogatori. E’ stato incarcerato a Ketziot nell’ala dove si trovano i prigionieri di Hamas e della Jihad Islamica.
Fino a poco tempo fa, ci spiega, i rapporti tra i prigionieri e le guardie a Ketziot erano buoni e impostati sul rispetto reciproco. Il problema è iniziato con l’annuncio dell’installazione di dispositivi di disturbo del segnale telefonico il 18 febbraio, nell’ala A-4, dove più di 110 prigionieri sono alloggiati in sei tende. All’epoca i prigionieri usavano 4 o 5 cellulari che erano riusciuti a fare entrare abusivamente nella prigione e ciascun prigioniero riusciva a parlare con le famigli per 15 minuti ogni 3 giorni.
La notizia del posizionamento dei dispositivi di alterazione del segnale telefonico è stata data ai prigionieri dalle stesse guardie della prigione, che hanno anche specificato che l’iniziativa non era stata presa della amministrazione della prigione ma era una iniziativa politica presa ai più alti livelli. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ed il ministro dll’interno Gilad Erdan, in vista delle elezioni del 9 aprile, volevano far vedere che il loro atteggiamento nei confronti con i prigionieri di Hamas era sempre più duro.
Il 19 febbraio, i detenuti dell’ala A-4 sono stati spostati in autobus in un’altra ala per alcune ore, per permettere l’installazione dei dispositivi. La direzione di Ketziot ha promesso che il blocco delle frequenze dei cellulari per il momento non sarebbe iniziato. I rappresentanti dei detenuti si sono accordati con la direzione della prigione perché la misura di restrizione delle comunicazioni fosse comunque negoziata con loro. Alla fine del mese di febbraio i dispositivi sono stati attivati senza che i rappresentanti dei prigionieri potessero negoziare con la direzione. Oltre ai telefoni è stata anche alterata la ricezione radiotelevisiva, ma oltre a questo, quello che preoccupava molto i prigionieri è stato l’aver appreso che le radiazioni emanate dalle apparecchiature installate potevano essere dannose per la loro salute .
La direzione ha negato che ci potessero essere conseguenze per la salute affermando che anche le guardie della prigione erano esposte alle radiazioni e questo doveva garantirli sul fatto che non fossero nocive. Da parte loro, i reclusi sostenevano che non si poteva comparare l’esposizione alle radiazioni delle guardie con quella dei prigionieri. Infatti la guardie non stanno esposte 24 h su 24 per anni come i prigionieri. Si sono quindi organizzati per fare nella loro ala una piccola manifestazione di protesta agitando dei cartelli con su scritto: “Non vogliamo morire lentamente”.
Salaima ci prepara un tè e continua raccontando che a un certo punto i prigionieri hanno interrotto tutti i contatti con la direzione ed hanno sospeso tutte la attività ricreative compreso il ping-pong . La tensione nella prigione saliva lentamente. Alti funzionari dell’IPS giunsero al blocco per dire che la decisione di installare i dispositivi di disturbo era stata presa a livello ministeriale. Il 20 marzo i detenuti sono stati separati in blocchi diversi , nel tentativo di disinnescare una bomba ad orologeria innescata dall’iniziativa presa dal governo. Tutti stavano aspettando che succedesse qualcosa. Poi il 24 marzo è arrivato quello che Salaima chiama il “giorno del disastro”.
La direzione della prigione ha annunciato che sarebbe stato effettuato un controllo nell’ala A-4 e che per far questo i detenuti sarebbero stati trasferiti. In quel periodo c’erano circa 100 prigionieri in quel blocco poi alcuni sono stati rilasciati. All’inizio la direzione aveva detto che l’operazione sarebbe durata solo due ore. Poi hanno detto che sarebbe durata tutta la notte, ma alla fine ai detenuti è stato ordinato di prendere i loro effetti personali perché sarebbero stati spostati nell’ala A-3, che era stata liberata per due settimane. Inizialmente il trasferimento è andato avanti senza problemi a gruppi di 10 detenuti alla volta, finché nell’ala A-4 sono rimasti solo pochi prigionieri. E’ stato allora che, nell’ala A4 quasi vuota, sono state accoltellate le due guardie. Secondo Salaima, l’attacco è stato compiuto da un prigioniero di nome Islam Mushahi. L’intera procedura di trasferimento è stata seguita sia da agenti delle forze speciali dell’IPS che della polizia. Chi ha materialmente eseguito il pestaggio sono stati : Masada, Yamam, Yamar e Keter, mentre i circa 300 agenti che hanno fatto irruzione nella prigione tenevano a bada i detenuti dell’ala A3 e ed i pochi detenuti rimasti nell’ala A4. Nessun prigioniero è riuscito a sfuggire ai colpi di mazza o ai Taser, dice Salaima, aggiungendo che le percosse erano indiscriminate ed hanno trasformato quelle sezioni della prigione in un campo di battaglia. Sono stati feriti quarantacinque detenuti. Salaima ha cercato di nascondersi in un angolo ma è stato trovato e bastonato e le cicatrici sulla fronte e sul naso sono li a dimostrarlo.
“Hanno rotto gambe, braccia, naso, faccia, costole”, dice, riferendosi alle forze speciali entrate nella prigione. “Masada ha sparato, e Yamar, Yamam e Keter hanno fatto il pestaggio.” Contro detenuti sono stati sparati circa 340 colpi di Taser ed anche utilizzato anche 15-20 cani che hanno ferito alcuni prigionieri. Il fatto si è compiuto durante la notte ed è durato tre o quattro ore, secondo quanto riferisce Salaima. Dopo il pestaggio sono stati ammanettati mani e piedi e lasciati fuori di notte per 36 ore – buttati in terra, legati, affamati, assetati, feriti, esposti al freddo,
Questa è la dichiarazione che il portavoce dell’IPS ha rilasciato al reporter di Haaretz, Josh Breiner: “Domenica, 24 marzo, in un atto terroristico pianificato e concordato tra i prigionieri di Hamas a Ketziot hanno cercato di assassinare degli ufficiali dell’IPS. Un esame preliminare degli avvenimenti indica che gli agenti di polizia penitenziaria IPS sulla scena sono andati in soccorso dei colleghi che erano sotto attacco e che sono stati feriti ed hanno soppresso la rivolta per prevenire ulteriori attacchi da parte dei prigionieri e non esporli ad altri potenziali attacchi mortali. “Va notato che prima del tentato omicidio, le guardie della prigione hanno compiuto un’operazione nell’ala di Hamas che aveva lo scopo di salvare la vita dei prigionieri, alla luce del timore che in quella sezione della prigione, come atto di protesta , si potesse sviluppare un incendio.
“Va anche notato che, secondo tutte le valutazioni degli esperti dell’IPS, esiste ancora il pericolo di un attacco contro il personale da parte dei prigionieri di Hamas, come dimostra il fatto che in settimana c’è stato un ulteriore tentativo di attacco da parte di un prigioniero di Hamas in Ketziot. Come per ogni incidente operativo di questo tipo, l’evento sarà investigato e [i risultati saranno presentati a tutti i livelli. ”
Gideon Levy Haaretz Correspondent